I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi          S. Francesco
 

 

 

 

Francesco visto da GKC

Roberto Prisco

Questa breve nota è stata generata dalla riunione del gruppo G7, avvenuta a margine di una gustosa grigliata celebrata a Moniga il 6 luglio del 2017; quella occasione ha visto il travaso del rum dal primo al secondo barilotto.

Queste considerazioni prendono forma scritta riportando ciò che non avevo detto in quella occasione, dato che volevo rendermi conto di essere veramente certo di ciò che avevo concluso. Vero o falso che sia, quanto scritto qui sotto va comunque considerato all’interno di alcuni limiti ben precisi. Non si tratta di una interpretazione globale su San Francesco ma soltanto di riflessioni fatte sugli aspetti sociali della sua esperienza, che sono stati riportati da GKC. Teniamo ben presente che lo stesso GKC non riteneva esclusivi questi aspetti ma li inquadrava nell’ambito della spiritualità del santo (CheF pag. 5 e segg.) i riferimenti alla sua spiritualità ed a quella di San Benedetto non ci saranno in questo testo dato che non ho l’intenzione di trattarne e soprattutto non possiedo le conoscenze necessarie per poterlo fare.


§1 Premessa

Possiamo cominciare con un paradosso di stile vagamente chestertoniano dicendo che quando si vuole trattare di un inizio in realtà si deve cominciare da una fine, da quella cioè di ciò che lo ha preceduto. Quindi parlando dell’inizio del medio evo feudale, dal quale poi passeremo a parlare del sorgere della società borghese, dovremo parlare della fine dell’impero romano e per parlare dell’inizio del francescanesimo dovremo parlare del monachesimo di Benedetto.
Purtroppo questo non ci basterà in quanto per parlare adeguatamente del San Francesco di Chesterton dovremo basarci sul saggio scritto successivamente su San Tommaso. In questo (CheT
[1] pagg. 22 e 23) Gilbert scriverà che il santo è un antidoto e che ha lo scopo di contraddire la generazione alla quale appartiene. In questo breve scritto abbiamo l’intenzione di fissare le idee su come Gilbert pensava Francesco e non su come fu realmente Francesco. Quindi questo principio di contrapposizione verrà impiegato prima per comprendere Benedetto e poi come Francesco divenne il diffusore di ciò che Benedetto aveva accumulato (CheF pag. 75)

Dato che ci rapportiamo con santi, usando la parola e non le opere nel tentativo di seguirli, le parole divengono importanti e la parola, data la specificità dell’argomento sulla quale è bene avere le idee chiare è “culto”.
Questa parola proviene dal verbo latino “colere” che significava onorare e servire gli Dei, nel tempio, nella propria vita e nel lavoro dei campi, dai quali il coltivatore si aspettava il sostentamento come premio per la venerazione che aveva avuto verso gli Dei che presiedevano alle messi. Da questi tre significati sono derivate le parole culto, cultura e coltivazione. Consapevole di questo significato il Santo Giovanni Paolo II diede, in occasione del discorso all’Unesco del 2 giugno 1980, la definizione di cultura come “ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, è di più, accede all’essere”.  
Quindi questa radice si riferisce ai diversi modi con cui direttamente ed indirettamente si onorano e servono gli Dei, i cristiani 0vviamente si rivolgono all’unico vero Dio.

 

§2 San Benedetto e il feudalesimo

Partiamo quindi dal Medio Evo feudale costituitosi sulle ceneri dell’impero romano. Questo lasciò nella penisola vasti territori abbandonati e città dalla scarsa popolazione nelle quali le sedi vescovili assieme alla burocrazia di origine romana svolgevano una funzione di conservazione dell’organizzazione politica e (vedi Cha pag. 30 e Bel pagg. 75, 89, 93, 94) della cultura anche per mezzo degli scriptoria. In questo ambiente si formò la società feudale basata sul principio del dovere: del feudatario verso il re, del quale era il servitore, dei servi e degli armigeri che dipendevano direttamente dal feudatario vivendo nel castello, dei contadini che essendo “servi della gleba” servivano quest’ultima e non il feudatario.
In questa struttura di doveri, che potevano essere finalizzati all’egoismo del più forte, Benedetto ed i suoi monaci stabilirono in territori inospitali ed abbandonati dei nuovi feudi svincolati dal dovere verso il re.
Questi feudi monastici avevano lo scopo di onorare e servire Dio nella preghiera e nel lavoro visto nei suoi diversi aspetti manuali e intellettuali.

L’epoca feudale fu quindi riscattata da San Benedetto che la contraddisse nella piramide dei doveri sostituendo il vertice re con il vertice Dio. Come servivano Dio con le opere dei campi, altrettanto lo servirono salvando le opere dell’ingegno che copiarono con perizia e dedizione e non senza costi; vanno tenute ben presenti, infatti, le esigenze economiche dell’operazione di stesura di un codice, che richiedeva quantità rilevanti di pelli di pecora per produrre le cartapecore necessarie per i codici. La tradizione del sapere da persona a persona avveniva inoltre secondo una struttura gerarchica ordinata dall’abate. Si pensi ad esempio a Sant’Anselmo di Canterbury.

 

§3 San Francesco e la borghesia

 

Per un complesso di circostanze favorevoli: riforma dell’Impero fatta dagli Ottoni, mutamenti del clima, maggiori possibilità di rapporti commerciali e forse altro ancora, intorno all’anno 1000 si formarono le libere città comunali che portarono all’avvio della società borghese. Società basata sulla sostituzione del principio del dovere con quello del diritto. L’esempio più esplicito è dato dall’affermarsi delle Università degli studi: comunità di studenti e docenti aventi una finalità comune. A queste istituzioni affluivano giovani che intendevano istruirsi e poiché i docenti erano pagati direttamente dagli studenti, questi avevano il diritto di sceglierli. Quindi il docente non doveva più rispondere all’abate o al vescovo che lo aveva designato ad insegnare ma alla comunità, che esercitava il controllo reciproco, mediante le dispute quodlibetali celebrate in occasione delle celebrazioni religiose. 

In questo panorama nacque e visse San Francesco. Nella sua vita incontrò due cocenti delusioni fallendo prima nel tentativo di diventare cavaliere e poi in quello di diventare commerciante. Il secondo avvenne quando, essendo partecipe degli affari di famiglia, pensò di poter disporre del diritto, che aveva sui beni aziendali e cedette alcune pezze di stoffa per un’opera di carità. Il padre non vide di buon occhio l’operazione e rinchiuse il figlio affinché meditasse sul fatto. Sembra credibile che riflettesse sul fatto che il pericolo per i commercianti fosse di sostituire all’egoismo del destinatario del dovere (come era nei feudi) l’egoismo del titolare del diritto.
Quindi ravvisò che il pericolo alla santità era nella struttura della società borghese, cioè nel diritto dell’uomo sulle cose. La dimenticanza del diritto principale sulle cose, il cui titolare è Dio, può allora prodursi e far giungere il borghese alla convinzione della propria autosufficienza. Da questo l’insistenza sulla povertà come espressione sia del principio di creazione, sia del comando “date a Cesare ciò che è di Cesare ed a Dio ciò che è di Dio”.

 

§4 Le contrapposizioni

 

Nell’epoca feudale il re onorava e serviva Dio nel cui nome era stato consacrato; il feudatario onorava e serviva il re che lo aveva investito del feudo; i cortigiani servivano il feudatario nel cui castello vivevano; i contadini servivano ed onoravano la terra come servi della gleba.

Questa organizzazione venne contraddetta dai monasteri benedettini nei quali tutti onoravano e servivano Dio. Chesterton fa presente (CheF pag. 75) che Francesco diffuse ciò che Benedetto aveva costruito. Portò cioè il servizio continuo a Dio fuori del monastero, che era un feudo, nelle città dove si stava affermando la società borghese che poneva nell’attivismo e nel conseguente guadagno il proprio criterio.

Teniamo presente che Benedetto non negò la struttura feudale, ma la rese al servizio di Dio; ugualmente Francesco non negò l’attivismo borghese ma lo indirizzò al servizio non di sé (come avrebbe fatto da mercante) ma di Dio.
Gilbert era nato in una famiglia borghese di buona posizione sociale e non negò mai i valori della borghesia ma chiese a tutti di guardare la realtà e di essere sinceri. Questo è espresso molto bene in “Il Ritorno di don Chisciotte” che sembrerebbe espressione di una nostalgia per il medio evo ma è invece una chiara accusa all’ipocrisia di un mondo borghese che finge di legittimarsi ricorrendo ad un medio evo fittizio ricostruito artificialmente.

Benedetto e Francesco salvarono la loro generazione contraddicendola dall’interno; non rinnegarono l’impostazione della società in cui vivevano; ma ne criticarono le posizioni in contrasto con i principi cristiani e soprattutto con quello di creazione.

 

§5 Il borghese San Francesco

Il borghese Chesterton lodava in Francesco la praticità (CheF pag. 31), la rapidità (CheF pagg. 30 e 89), l’attivismo (CheF pag. 65), la fiducia in sé (CheF pag. 56) e poi l’affermazione dell’uguaglianza tra gli uomini (CheF pag. 32) e l’indipendenza dell’uomo (CheF pag. 51).

Questi erano tutti valori borghesi che venivano visti nella prospettiva di onorare e servire Dio e non sé stesso come vuole la pratica egoista della borghesia. L’ordine francescano fu quindi un ordine borghese che cercò di salvare la borghesia dalla sua perversione.

Richiamiamo a comprova l’attività di due francescani che nei secoli successivi cercarono con la predicazione e con le iniziative sociali di attuare la correzione di cui Francesco fu l’iniziatore.

Per primo prendiamo Bernardino da Siena e ricordiamo come (BarSoc pag. 250) rivolgesse le sue prediche a “folle di artigiani e mercanti” nelle quali, pur giustificando la pratica commerciale condannava la pura speculazione. Ricordiamo la difesa della libera concorrenza in un mercato trasparente (BarSoc pag. 254). Legittimava inoltre il capitale come fattore produttivo (BarSoc pagg. 341, 342). Esortò i numerosi rappresentanti della ricca borghesia milanese, tra i quali molti erano terziari francescani, a concrete e positive opere di bene (BarSoc pagg. 354, 355).

Il passaggio dalla liceità del capitale a quella dell’interesse non usurario fu caratterizzato dall’opera di Bernardino da Feltre che propugnò e vide realizzare i Monti di Pegno. Queste istituzioni erano viste come enti economici e non essendo enti caritativi avevano la necessità di esigere un interesse per poter coprire le spese di amministrazione (BarFel 64).

Possiamo quindi intravedere il valore del francescanesimo, che ha cercato di correggere la società borghese non contrastandola radicalmente ma indirizzandola verso una sua limitazione.
Questo potremmo dire fu anche il progetto di GKC che borghese tra i borghesi cercò di evitare le due perversioni della società in cui viveva e che erano il capitalismo ed il socialismo. Analogamente spese la sua vita per evitare che la società laica si trasformasse in atea e che la carità divenisse filantropia

 

BIBLIOGRAFIA

-  Gilbert K. Chesterton “Francesco d’Assisi” Guida Editore, Napoli, 1990 [CheF]

-  Gilbert K. Chesterton “Tommaso d’Aquino” Guida Editore, Napoli, 1992 [CheT]

-  Gino Barbieri “Il Pensiero Sociale del Medio Evo” Palazzo Giuliari, Verona, 1968 [BarSoc]

-  Gino Barbieri “Il Beato Bernardino da Feltre nella Storia Sociale del Rinascimento”       A. Giuffrè, Milano, 1962 [BarFel]

-  Federico Chabod “Storia dell’Idea d’Europa” Laterza, Bari, 1964 [Cha]

-  Hilaire Belloc “L’Europa e la Fede” Il Cerchio, Rimini, s.i.d. [Bel]



[1] Le sigle dei riferimenti bibliografici sono elencate a fianco dei titoli.



                              Commenti

Luigi Rondina mi manda alcune osservazioni che ho utilizzato per rivedere il testo ed alcune puntualizzazioni che riporto qui sotto

 

Emerge poco, come preavvisato dalle tue intenzioni, la prospettiva sull’eternità che la fede dona loro in entrambi i momenti storici.

La fede ci riporta a “fruire” della realtà non a usarla per il dominio come la borghesia vuole.

 

Credo inoltre che la prospettiva storica che hai usato sia quella di Gioacchino da Fiore, cioè lo svilupparsi delle ere della storia in un processo quasi dialettico: Francesco che porta a compimento l’etica benedettina.

Credo sia vero solo in parte.

Se guardiamo la spiritualità benedettina è un salire verso Dio con gradini verso l’alto con il lavoro e la preghiera.

La spiritualità francescana, mi riferisco a San Bonaventura, è un itinerario dentro la realtà. È una scala verso il “basso”, dentro alla realtà per scorgere nelle creature le vestigia del Creatore.

La prospettiva più adeguata credo sia quella della Provvidenza, che quella "processuale storica". Francesco è un uomo della Provvidenza e della grazia, dove la volontà di Dio si manifesta misteriosamente.

 


























 

 

 

 

 

 

 

 

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