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IL RITORNO DI LADY CHATTERLY

Parallelo tra

IL RITORNO DI DON CHISCIOTTE di G.K. Chesterton
e
L'AMANTE DI LADY CHATTERLY di D.H. Lawrence



Note di Roberto Prisco
 

Premessa

Non ci si sorprenda e non ci si scandalizzi se in queste pagine si cerca di confrontare un’opera (L’Amante di Lady Chatterly di D. H. Lawrence) impropriamente nota più per gli aspetti erotici che per quelli letterari con un racconto del pudicissimo Chesterton (Il Ritorno di Don Chisciotte). Lo scopo di questo scritto, infatti, è di evidenziare come queste due opere, l’una famosa e l’altra meno conosciuta, sviluppino temi tratti dalla contemporaneità rispecchiando problemi economici e sociali presenti nell’Inghilterra degli anni 1926-28. Mostreremo quindi che questi problemi sono presenti in entrambi i racconti ed evidenzieremo come vengano risolti in modi diversi.
Chesterton aveva appena pubblicato (The Outline of Sanity 1926 In italiano Il Profilo della Ragionevolezza Lindau Torino 2011) una raccolta di saggi nella quale aveva preso in esame alcuni dei temi del distributismo ripresi nel Ritorno con stile narrativo.

I due racconti sono stati scritti con impostazioni decisamente opposte, l’uno (da Lawrence) con l’intenzione di mostrare realisticamente un brano di vita della società borghese con ascendenze aristocratiche, l’altro con l’intenzione di mostrare un sogno che cerchi di evidenziare temi e situazioni che opprimono per mezzo dell’ipocrisia e delle convenzioni sociali la libertà di un popolo. È inevitabile trattare i racconti di GKC non secondo una prospettiva naturalistica, ma secondo quella del sogno, che scruta le radici della realtà per farne emergere valori e disvalori.

Lo scenario socio-economico di sfondo riguarda la situazione delle miniere di carbone inglesi di quegli anni. L’industria mineraria era in crisi per un calo della domanda di carbone[i]; questa difficoltà portò, congiuntamente alla meccanizzazione del lavoro nelle gallerie, a licenziamenti e conseguenti crisi nei rapporti sindacali.

Un altro settore produttivo collegato con i due romanzi era quello dei coloranti sintetici per la tessitura, che venivano ricavati dalla distillazione del carbone. L’utilizzo del carbone in queste lavorazioni poteva compensare la riduzione della domanda per gli impieghi energetici.

La tecnologia chimica per la produzione di questi colori era stata elaborata in Inghilterra tra la metà e la fine del secolo XIX ed aveva portato allo sviluppo di diverse industrie inglesi e tedesche [ii]. La Grande Guerra aveva ridotto le importazioni dalla Germania (nel 1914 solo il 10% dei coloranti era prodotto in Gran Bretagna) e fatto sviluppare l’industria locale.[iii]

 

La problematica economica e sociale

Riassumendo, e per tornare all’argomento di questo contributo, quando iniziano le vicende dei due romanzi paralleli (dal punto di vista economico e sociale), l’industria estrattiva del carbone è in difficoltà; il padronato ipotizza che l’industria dei colori sintetici possa soccorrerla[iv] e che sia necessario fronteggiare un sindacalismo sempre più attivo.

Sir Clifford Chatterly, il personaggio principale del romanzo di Lawrence paralizzato dalla cintura in giù per una ferita di guerra che lo rende impotente, è proprietario di una residenza nobiliare (Wragby) e dei terreni circostanti nei quali è stata scavata una miniera di carbone attualmente in difficoltà.

Nell’altro racconto Lord Seawood, posto da GKC come proprietario dell’antica residenza Seawood Abbey, è anch’egli invalido e possiede una miniera di carbone ovviamente in crisi. Appare di una caratura sociale più elevata del personaggio omologo di Lawrence in quanto è definito statista e figura essere amico e socio in affari del primo ministro Eden.

Entrambi hanno il problema economico impellente di far tornare attiva la gestione della miniera. La necessità di trattare con gli operai diventa quindi essenziale. I due autori presentano il mondo degli operai in modi assolutamente divergenti. Da una parte Lawrence descrive moglie e cognata di Sir Clifford come socialiste e fabiane, che comunque disprezzano gli operai fino a giungere a desiderare l’estinzione del genere umano [v].

Il tredicesimo capitolo riporta con dettagli il pensiero di sir Clifford sugli operai. Per prima cosa prevede che, allo scopo di salvare l’industria, si vieteranno gli scioperi; questo provvedimento, dice, verrà preso ovviamente nell’interesse dei lavoratori stessi. Se da una parte la classe operaia è destinata, per la propria funzione ad essere inferiore, dall’altra parte la classe dei padroni ha svolto la funzione di dare agli operai tutto quello che hanno: libertà politica, igiene, musica ecc. Gli operai in conclusione hanno soltanto rovinato tutto quello che hanno ricevuto.

Le due visioni dell’uomo sono contrastanti: da una parte la visione tecnocratica e dall’altra quella cristiana[vi]; la differenza irriducibile non potrebbe essere mostrata meglio di quanto si nota dal confronto delle occasioni di svago degli operai; in una è mostrata l’amichevole e cordiale atmosfera che respirano gli operai di Chesterton nei pub, dove si divertono a bere cantare e stare insieme. Nell’altra la ben diversa descrizione dei passatempi degli operai che troviamo in Lawrence. Nell’undicesimo capitolo[vii], infatti, Constance (Lady Chatterly) compie una visita nel vicino villaggio di Tevershall nel quale vivono i lavoratori impiegati nella miniera del marito Clifford. Il canto di una scolaresca è “uno strano urlio tutto berci che seguiva il filo di una melodia” I minatori vengono descritti come “mezzi cadaveri” e quelli che, portati da grossi autocarri[viii], sono diretti ad una gita sono definiti “piccoli esseri strani e deformi appena simili ad uomini”. La conclusione di Lady Chatterly è: “ora non può esserci nessuna fratellanza”.

GKC, che ha una visione positiva degli operai in quanto uomini, mostra al contrario il conservatore[ix] onorevole Douglas Murrel (soprannominato Monkey) mentre accompagna un colto e raffinato sindacalista snob a scoprire l’umanità degli operai. Una umanità manifestata nei rapporti spontanei e liberi che sorgono nei pub. È in realtà molto chestertoniano mostrare un sindacalista che si trova a proprio agio più nel salotto del proprietario della miniera che non nei pub assieme agli operai.

Un altro problema che sorge in entrambe le trame è quello della legittimazione della proprietà. Risolto abbastanza bruscamente da sir Clifford “siamo proprietari di Wragby da generazioni”, diventa un problema di non facile e non indolore soluzione nel Ritorno. Lord Seawood, cultore di araldica, trova che un ritorno al medioevo potrebbe moderare le richieste dei sindacati e, grazie all’accordo con il primo ministro in carica, investe di tutti i poteri lo storico Herne elevandolo alla carica di Re d’Arme[x]. Questi si mostra però uno storico avveduto e dichiara che l’aristocrazia inglese (nel caso rappresentata da Lord Seawood) non ha titoli, né nobiliari, né giuridici[xi], né tecnici per mantenere la proprietà della residenza e delle fabbriche annesse.

Ma anche sir Clifford, al pari del Re d’Arme Herne, aveva una visione opportunista dell’aristocrazia; infatti, si dichiara disposto, allo scopo di dare un futuro alla casata, a fingersi padre del nascituro frutto delle relazioni extraconiugali della moglie. All’obiezione della moglie stessa che l’aristocrazia si trasmette col sangue risponde che è la funzione a fare la classe e non la nascita. Ricorda inoltre che la funzione di dirigente e quella di operaio generano un abisso infinito di separazione tra le due classi.

Lawrence ci presenta quindi una aristocrazia inglese che si presenta come progressista, ma disprezza gli operai in quanto ignoranti e sporchi e si legittima soltanto per il potere che esercita. Nel 2020 li definiremmo radical chic.

 

Il colore

Un tema particolare che troviamo in Chesterton e che pare del tutto bizzarro e marginale rispetto alla trama è quello del colore; se si esamina invece con cura la sua presenza ci si accorge che la sua posizione diviene centrale. Per prima cosa vediamo come il colore entri solo marginalmente ed occasionalmente nell’altro romanzo, quello di Lawrence. In esso di colori si parla, ma quasi esclusivamente all’inizio descrivendo il cielo grigio ed inquinato che incombe come una cappa di piombo sulla proprietà dei Chatterly. Più avanti il cielo viene nascosto al lettore grazie alla incipiente primavera nella quale i colori di tanto in tanto caratterizzano i petali di fiori appena sbocciati, ma nient’altro. Le descrizioni della natura deteriorata tornano per descrivere il mondo grigio ed inquinato in cui vivono gli operai.

Ben diversa è l’importanza che il pittore Chesterton assegna al colore.

Si comincia con i variopinti abiti della recita medievale, che Herne non smetterà anche dopo la rappresentazione fino a diventare il ritornante don Chisciotte. Ma particolarmente interessante è la vicenda del “mago del colore”. Una storia di un livello ancora più onirico della storia principale che comunque appartiene, alla determinazione del sogno positivo, contrariamente ad esempio a “L’Uomo che Fu Giovedì” definito come incubo. Non è facile quindi interpretarne il senso, ma cercheremo qui di fissare qualche elemento che ci aiuti nella comprensione.

La chiave di interpretazione è nella frase “quasi tutti sono daltonici”[xii]. Da un lato può significare che rappresentando i colori una forma di differenziazione della realtà il mondo attuale nella sua uniformità appare grigio. Questa interpretazione è vera, ma un esame più puntuale aggiunge altri aspetti.

Prendiamo in particolare il problema del colore dei vestiti. Dato che nel “Ritorno” il problema dei colori nell’industria tessile è un problema economico e che la sana rappresentazione medievale viene messa in scena con abiti colorati, e che il personaggio principale non smetterà più gli abiti variopinti questo è l’ambito in cui i colori giocano il ruolo funzionale di descrivere una società viva e vitale.
Veniamo brevemente ai giorni nostri e richiamiamo alla memoria, per contrasto, una qualsiasi delle fotografie celebrative delle riunioni dei capi di stato dei G7 o G8 o G20. Ebbene sono tutti vestiti con abiti difficilmente distinguibili e di colore nero o al massimo grigio o blu scuro. Dov’è il colore? L’unica nota di colore potrebbe essere nelle cravatte, ma sono quasi esclusivamente azzurrine e raramente si vede comparire una cravatta rossa. Una interessante eccezione è data dagli abiti color verde o azzurro di Angela Merkel, comunque di tonalità così chiare che non si notano. Quindi il daltonismo, cioè l’indifferenza verso il colore, colpisce anche la nostra società, o meglio la sua parte più dotata di potere.

 

La legittimazione del potere

Un’altra coordinata ci viene presentata dallo scopo del sogno: ripristinare l’ordine antico dell’Inghilterra, di prima cioè che Enrico VIII rompesse l’unione con la Chiesa Cattolica [xiii].

Enrico VIII e la sua corte, ed i discendenti per circa un secolo, si vestirono ancora in modo variopinto; fu solo con la rivoluzione di Cromwell che si diffusero i neri vestiti dei puritani. I vestiti che usiamo noi adesso sono in definitiva l’attualizzazione, (anche filtrata attraverso la rivoluzione francese) di quegli abiti, di quel modo di vestire.

Non è una cosa di poco conto, il primo messaggio che comunichiamo, infatti, è la nostra stessa persona, che si palesa vestita; sono infatti i nostri vestiti che ci coprono per difenderci dall’ambiente e per far sapere come intendiamo comunicarci. Se per avere l’aspetto di persone importanti i nostri politici si vestono da puritani e non come un nobile del 1500 vuol dire che la loro intenzione è di comunicarsi come calvinista. La risposta fin troppo ovvia che viene data a questa obiezione è che “non si deve spendere troppo denaro per vestirsi”. Il male è che questa risposta è proprio calvinista e quel che è peggio lo è inconsapevolmente.

Questa è l’importanza del colore: un richiamo ad un’Inghilterra che uscendo dal daltonismo diventi più libera, meno conformista e più cattolica.

Il richiamo alla moda calvinista non è fine a sé stesso ma in stretta relazione con la polemica economica e sociale sul capitalismo. Parafrasiamo Chesterton e definiamo capitalismo quel sistema sociale nel quale il ricco ha sempre ragione e può chiedere di avere sempre più soldi. Nella società feudale[xiv] era il feudatario ad avere sempre più soldi e sempre ragione. Tra i secoli XI e XVI in Inghilterra avvenne la transizione tra le due forme di società, come questa sia avvenuta e quali siano state le forze che l’hanno prodotta e quali le condizioni che l’hanno permessa è oggetto di un dibattito sterminato tra gli storici dell’economia del quale si può avere un assaggio in questo breve manuale di Giorgio Borelli[xv]

Delle diverse impostazioni quella di Max Weber risulta essere la più utile per noi. Questo punto di vista considera il calvinismo come il fondamento che ha costituito l’etica capitalista che esalta l’arricchimento ed il successo e contemporaneamente impone la frugalità. È immediato quindi vedere il collegamento tra questa etica ed i vestiti neri tutti uguali dei puritani. Si veda ad esempio il quadro di Rembrandt “La Lezione di Anatomia del dott. Tulp” e lo si confronti con un quadro che ritragga nobili o ecclesiastici di ambiente cattolico.

La rivendicazione dell’importanza del colore si pone in continuità con la provocazione che GKC ha fatto in tutta la sua vita contro il conformismo inglese, e contro l’establishment britannico la cui fatuità è svelata dalla critica in tre punti fatta da Herne nel sedicesimo capitolo.

Allo scopo di capirla, riassumiamo brevemente la storia della trasformazione della società inglese da feudale a capitalistica[xvi].
Nel XV secolo era già iniziato un processo di accorpamento delle proprietà fondiarie e la loro conversione da coltivazione agricola di sussistenza ad allevamento di pecore. Questo processo ebbe una accelerazione con lo scisma di Enrico VIII. Questi, avendo necessità di consenso da parte dei feudatari, li rese titolari delle terre dei monasteri e conventi e permise loro di recintare le terre comuni; così si formarono delle proprietà di grandi dimensioni. Questo processo di accentramento richiese alcuni decenni e cambiò radicalmente il sistema economico. L’agricoltura di sostentamento venne sostituita dall’allevamento di pecore, più redditizio dell’affitto di porzioni di terreno a famiglie di coltivatori diretti. La lana che precedentemente veniva venduta ai mercanti italiani venne trattenuta per essere filata e tessuta in loco dando vita a prospere attività commerciali e di manifattura. Col tempo i commercianti arricchiti ricevettero titoli nobiliari e col diversificarsi delle attività economiche saranno sempre più finanzieri e sempre meno industriali. Perché si completasse questa fase del processo di formazione del capitalismo bisogna arrivare alla rivoluzione industriale del XVIII secolo. Adamo Smith nel 1776 osservò:” il governo civile, che è istituito per la sicurezza della proprietà, in realtà è istituito per difendere i ricchi contro i poveri, o coloro che hanno qualche proprietà contro coloro che non ne hanno affatto.”[xvii]

Herne presenta, basandosi sul diritto medievale tre obiezioni alla ricchezza dei capitalisti inglesi: di non essere Maestri nell’arte esercitata nelle loro imprese, di essersi arricchiti o con l’usura o con altri metodi illeciti e non con il lavoro o il commercio, e di non essere i legittimi discendenti dei nobili di cui portano il nome ed il cimiero.
Vale la pena ricordare come la proprietà Seawood Abbey fosse anticamente un’abbazia che dopo lo scisma venne venduta agli allora nobili Severn, per poi passare ai signori Smith che ne assunsero il cognome per fingere una ascendenza aristocratica. Al punto che i legittimi eredi delle contee interessate non sono i due Lord ma un carrettiere William Pond ed un fruttivendolo George Carter.

I ricchi ed aristocratici Lord Seawood e Lord Eden avevano consegnato ad Herne un potere assoluto perché ritenevano che col ritorno al Medio Evo avrebbero potuto controllare meglio le rivendicazioni dei sindacati frutto della modernità. Un ritorno al medioevo oscurantista non avrebbe potuto che annullare queste rivendicazioni. Non tenevano conto però che agli occhi di un medievalista la loro ricchezza ed il loro potere appartengono alla stessa modernità del movimento socialista e gli vennero quindi tolti.

Dall’altro lato Lawrence ci presenta Lord Chatterly, che come ricordato all’inizio, risolveva pragmaticamente il problema della liceità della proprietà. Ricordava, infatti, che era stata tramandata da diverse generazioni prima di giungere nelle sue mani e che il potere da lui esercitato si legittimava in quanto tale per mezzo della funzione di proprietario.

Per concludere vanno bene le considerazioni di Stefano Fontana “... il potere in sé è pura forza e in quanto tale è incapace di legittimarsi da solo. ““Il potere è legittimato dal fatto di essere strumento dell’autorità e questa è legittimata dall’agire per il bene comune, un fine che precede la politica e che ne è la misura.”

Verona 25 settembre 2020

 

 



[i] C. Singer (a cura di) Storia della Tecnologia, Boringhieri, 1976 vol. 6 pagina 181

[ii] C. Singer op cit vol. 5 pagina 277 e segg.

[iii] C. Singer op cit vol. 5 pagina 288..

[iv] Dal carbone si ricava con successive fasi di lavorazione il catrame e poi per affinazione colori sintetici esplosivi ed altri prodotti.

[v] D. H. Lawrence L’amante di Lady Chatterly, Garzanti, Milano, 1987 pag.:110, 184 e segg, 219, 261 e segg, 290.

[vi] G. K. Chesterton Il Profilo della Ragionevolezza Lindau Torino 2011

[vii] D. H. Lawrence op cit, pagg.183 e 184.

[viii] G. K. Chesterton op cit , pag. 234

[ix] G. K. Chesterton op cit, pag. 117

[x] Il Re d’Arme aveva la funzione di certificare sia la genealogia sia la legittimità dei titoli nobiliari.

[xi] G. K. Chesterton op cit, pag. 234

[xii] G. K. Chesterton Il Ritorno di Don Chisciotte, Morganti, s.i.l., 2012 pag.141.

[xiii] Vale appena ricordare le ricadute sul popolo inglese delle recinzioni dei terreni comuni e della spoliazione di conventi e monasteri, su cui si tornerà più avanti.

[xiv] H.M. Croome e R.J.Hammond Storia Economica Della Inghilterra, Longanesi, Milano, 1951 pag. 96

[xv] G. Borelli Alla Ricerca del Dibattito Sulle Origini Del Capitalismo, Libreria Editrice Universitaria, Verona 1990

[xvi] Per una visione più articolata e precisa su quella trasformazione possono vedersi:
C. Hill La Formazione Della Potenza Inglese, Einaudi, Torino, 1977
e da ultimo, ma non di minore importanza per la vicinanza culturale e politica dell’autore con Chesterton
I. Belloc Breve Storia Di Inghilterra, Studium, Roma, 1938

[xvii] Riportato da Hill op. cit. pag. 332


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