I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi       in dettaglio

 

IL CLUB DEI MESTIERI STRAVAGANTI di G.K. Chesterton
 
(The Club of Queer Trades  – 1905)  

Note di Cesare Surano


A) Aspetti Generali

Nelle mie note su “Il ritorno di Don Chisciotte” ho definito quest’opera un “divertissement senile” di Chesterton.   Al giorno d’oggi, con la vita media che si è innalzata vertiginosamente, bollare come “senile” qualcosa scritto a 53 anni, suona paradossale.   Si potrebbe anche dire: un paradosso alla Chesterton!   Ho inoltre affermato che “Il ritorno di Don Chisciotte è un romanzo sui generis, che la trama è appena abbozzata, esile e discontinua, i personaggi principali in alcuni casi appaiono ben delineati, in altri sono sfumati, senza spessore o di maniera, l’intreccio è relativamente slegato, con salti temporali incomprensibili, le contraddizioni sono numerose. Tipico di un’opera a puntate”.

Per converso, sempre paradossalmente ma non troppo, si può definire “Il club dei mestieri stravaganti” un “divertissement giovanile”, ammesso che sia definibile “giovanile” ciò che l’autore ha partorito a 31 anni.

Tra i due scritti corrono solo 22 anni, ma in mezzo ci sono l’intera evoluzione di vita e di pensiero di Chesterton, quasi tutte le sue opere più importanti e significative, le grandi polemiche giornalistiche e letterarie coi personaggi del tempo, una devastante guerra mondiale, la morte del fratello Cecil, il graduale processo di crescita nella fede con la definitiva conversione al cattolicesimo.

Nella palese, logica diversità che passa tra i due libri, quali sono allora gli elementi comuni che li affratellano, che li rendono molto vicini e per taluni aspetti assai simili, a conferma della continuità dello scrittore e dell’uomo Chesterton nelle diverse fasi della sua vita?    Dove è la coerenza fra un’opera giovanile e una della maturità?

Gli elementi formali e di scrittura comuni sono abbastanza facili da individuarsi.   Malgrado “Il ritorno di Don Chisciotte” sia presentato come un romanzo, nella sostanza romanzo quasi non è.   Le diverse parti, spesso i diversi capitoli, fanno storia a sé e hanno pochissima continuità.   Potrebbero tranquillamente essere considerati dei racconti separati, uniti solo da personaggi comuni.   “Il club dei mestieri stravaganti” è invece un insieme di racconti che con pochi artifici scritturali, attraverso i tre protagonisti, possono diventare un “unicum”.    Quindi nessuna differenza formale, malgrado le apparenze editoriali.

Anche la scrittura è molto simile: nel “Club” un po’ più enfatica e barocca, nel “Ritorno” tendente al grottesco e al caricaturale, ma senza grandi difformità.   Inoltre, la descrizione dei personaggi, ben definita per quelli maschili principali e superficiale per quelli secondari e femminili, segue sostanzialmente lo stesso stile chestertoniano.   Le contraddizioni e le incoerenze sono sempre quelle tipiche di Chesterton e ricorrono in quasi tutti i suoi scritti meno impegnati, preparati a tamburo battente, seguendo i ritmi giornalistici.   E, naturalmente, non mancano nei due libri i celebri paradossi e le pungenti provocazioni.    

Ciò che invece è molto importante sottolineare, è il “fil rouge” evidente tra le due opere dato dall’approccio leggero, scherzoso dell’autore che strizza l’occhio al lettore chiedendogli di partecipare al gioco, pur senza prendere il tutto troppo sul serio.   Ecco dunque il vero dato comune che permette di definire “divertissement” entrambi gli scritti, pur essendo molto diversi gli scopi e le intenzioni di Chesterton e diversissimi gli obiettivi sostanziali dei due libri.

Entrando così nel merito e dimenticando il Don Chisciotte, si può tranquillamente affermare che il “Club” è, a un tempo, una voluta provocazione e una prova generale.

La provocazione contro Sir Arthur Conan Doyle, il suo Sherlock Holmes, il metodo deduttivo e l’indagine scientifico – protocollare dei misteri polizieschi, è dichiarata senza mezzi termini, quasi enfaticamente, da Chesterton stesso.   Egli contrappone a questo approccio, in modo palese, l’intuizione, la fantasia e la creatività, pur sempre basandosi sui fatti oggettivi e reali di ciascuna storia.  

GKC sottolinea la differenza di metodo attraverso la voluta “pazzia” del protagonista dei racconti, l’ex giudice Basil Grant.  La “pazzia” è quindi intesa come l’unica possibilità di sfuggire a leggi insensate e a protocolli illogici che finiscono per impedire una corretta valutazione della realtà.   La “pazzia” come libertà di pensiero e, al contempo, strumento di equilibrio e di giustizia.   E’ il rifiuto puro e semplice del deduttivismo positivista, imperante nelle ideologie dell’epoca (e che permane ancor oggi nell’aberrante “politicamente corretto”!), rifiuto che ritroveremo ben più articolato e con maggior spessore in altre opere successive e “mature” del nostro autore.

Prova generale è invece il voler creare un nuovo tipo di “detective story”.    In effetti, nel 1905, siamo ancora agli albori di questo filone che troverà grande sviluppo nei paesi di lingua inglese solo dopo la prima guerra mondiale (in Italia assai dopo, forse con Scerbanenco), pur mantenendo in parte il connotato di letteratura “minore”.   Non si sa perché, o meglio, lo si sa benissimo: agli intellettuali paludati, i racconti e i romanzi agili, scorrevoli, di facile lettura piacciono poco, anche quando gli autori scrivono benissimo, dimostrano estro e creatività, propongono personaggi di spessore, tematiche non banali e ambienti di buon realismo, specchio fantastico di diverse società.   Ciò non significa una difesa d’ufficio di tanta editoria spazzatura, ma un intendere equilibrato di quanto una valida letteratura popolare, il “buon giallo” per esempio, può rappresentare per lo sviluppo della cultura.   E taciamo, per carità di patria, su quanto si trova oggi in libreria.

Nel “Club”, Chesterton fa le prove generali degli splendidi racconti “polizieschi” di Padre Brown, abbozzando situazioni, personaggi, trame, ritmi, metodi e conclusioni che ritroveremo più avanti, con diversa ampiezza e profondità, nei libri incentrati sul prete – detective.   Qui il discorso è leggero, scherzoso, goliardico; si limita, con ironia, a contestare l’approccio pseudo – scientifico di un investigatore stile Sherlock, sottolineandone la boriosa superficialità basata sulle apparenze, per affermare la validità dell’intuizione e la necessaria conoscenza dell’animo umano come chiavi per svelare i misteri.   Nei racconti di Padre Brown il discorso si affina, entra in una analisi articolata e si dirige verso una soluzione morale.

Il “Club” diverte e innova, è una specie di avanguardia che esplora un terreno sconosciuto e riferisce al suo autore che la strada è percorribile, con qualche precauzione creativa e un po’ di aggiustamenti di tiro.   Ma ormai il cammino è segnato e l’obiettivo ben inquadrato.

   

B) Personaggi

I tre personaggi principali dei racconti sono …. quattro.

Quattro perché ai fratelli Grant e all’io narrante, deve essere aggiunto necessariamente il “Club”, che si presenta come una entità a sé stante.   In effetti, è il soggetto principale e originale del libro, la “creatura” dell’autore, l’idea nuova che viene proposta al lettore cercando approvazione e compartecipazione.   Che possano esistere “mestieri altri”, è la geniale e paradossale invenzione di Chesterton che dimostra come la tradizionale apparenza dei ruoli possa essere rovesciata, come la fantasia possa soverchiare la piatta realtà, come l’andare controcorrente (a testa in giù!, vedi la biografia di San Francesco d’Assisi) sia alla fine il modo corretto di vivere ed investigare il mondo.   Concetto che vedremo approfondito prima nell’Uomo che fu giovedì e in Ortodossia, poi ne Le avventure di un uomo vivo, e in buona parte dei Racconti di Padre Brown.   In pratica, è l’eterno gioco dello scambio di ruolo tra la realtà e la fantasia (da Omero a Pirandello, tanto per dire), qui applicato alla società borghese post – vittoriana, scherzandoci sopra.   Che i mestieri “altri” siano originalissimi, torna a merito della creatività di Chesterton e che il “Club” come insieme realmente esista, è la sorpresa finale dell’ultimo racconto.

Il personaggio – perno del libro è senza dubbio Basil Grant.   E’ il giudice “pazzo” che è rinsavito cantando una canzonetta folle, abbandonando il seggio e la toga, ritrovando la propria libertà di pensiero e di giudizio al di fuori degli schemi convenzionali in cui era soffocato dalla sua società di appartenenza.   Finalmente può vedere dall’angolo dell’intuizione la realtà e può così offrire le risposte “sensate” agli interrogativi che gli altri personaggi gli pongono.   E sicuramente GKC si immedesima, divertendosi parecchio, in lui.

Il fratello Rupert Grant e il narratore sono solo personaggi di pretesto: il primo è una caricatura di Sherlock Holmes, il secondo è un Dr. Watson in formato ridotto.  Non c’è da parte di Chesterton alcun approfondimento del loro ruolo, né dei loro pensieri.   Sono le classiche “spalle” della commedia, cui si chiede di recitare le battute che fanno emergere la figura e la logica del protagonista, nella fattispecie Basil Grant che, alla fine, viene giustamente “incoronato” Presidente.

Lo scontato gioco di parole può, anzi deve, essere attribuito a Chesterton.

I personaggi minori che animano il libro, infine, sono simpatici, caratteristici, originali e nulla più.


C) I racconti


I sei racconti che compongono il libro sono, più o meno, dello stesso peso, della stessa lunghezza (tra le 20 e le 28 pagine), dello stesso ritmo e sono molto omogenei sia per ambienti che per dinamica narrativa.   Qualcuno è un po’ più scorrevole, qualcun altro più originale nella trama, ma in sostanza ripetono tutti lo stesso cliché narrativo.   In sostanza, sono tanti “esempi” inquadrati nello stesso approccio metodologico, quasi come le prove di laboratorio che gli scienziati ripetono per testare la validità di un assunto.   Ma non sono mai noiosi, hanno una loro specifica originalità e, soprattutto, sono allegri e divertenti.   Il mistero nei racconti è poca cosa, il “giallo” è relativo e la “suspence” quasi inesistente, annullata in partenza dalle risatone di Basil Grant.   Ma la fantasia dell’autore nel creare “mestieri” inimmaginabili, è formidabile.   Una vera fucina, pur se applicata a solo sei casi concreti.   Casi che invece, ancor meglio articolati e di diversa profondità, saranno numerosissimi e sempre particolari nella saga di Padre Brown.

E vediamo i racconti, uno per uno.

1) Le terribili avventure del Maggiore Brown

Racconto iniziale e quindi anche introduttivo dei personaggi e dell’atmosfera comuni all’intero libro.   Queste prime pagine sono felicissime e manifestano con chiarezza le intenzioni dell’autore.   Poi si sviluppa il “giallo” di cui al titolo.   Ma la descrizione degli attori principali è incisiva ed ironica al contempo, inquadrando nella grande Londra di inizio ‘900, capitale imperiale e mondiale con tutte le sue contraddizioni, le vicende successive.   Ogni spiegazione, ambiente, personaggio, metodo, finalità dello scritto sono esposti senza remore e con un pizzico di mistero.   In qualche modo si sa già come le diverse storie andranno a finire, pur nella loro specificità e con la sorpresa (parziale) del capitolo finale.   La trama del racconto del Maggiore Brown è molto lineare, le avventure sono poco avventurose e la “suspence” relativa, ma proprio per questo scorre con naturalezza, forse peccando di qualche ingenuità, vedi il matrimonio del Maggiore (happy end!).   Una corsa leggera in un piccolo intrigo domestico - poliziesco che svanisce come una colorata bolla di sapone.   Ma stabilisce un approccio, quello chestertoniano, ben diverso dal sussiegoso procedere di Sir Arthur Conan Doyle.   Unico aspetto fastidioso, secondo il mio parere, è l’enfasi scritturale che, peraltro, si prolunga per tutto il libro e, alla fine, rende il lettore quasi assuefatto allo stile.

 

2) La penosa caduta di una grande reputazione

Il secondo racconto è invece di una ironia incisiva e graffiante: una feroce satira della buona società del tempo che è ancor più valida per il mondo d’oggi, molto “radical chic”, basato sull’apparire, l’inconsistenza, l’immagine vacua e sul terrificante “politicamente corretto”.   Oggi, attraverso i sistemi di comunicazione sociale, i “mass media”, ciò che Chesterton descrive nel racconto è prassi comune e quasi non ci accorgiamo più del martellante condizionamento cui siamo sottoposti a tutte le ore e in ogni ambiente.   Ai primi del novecento il fenomeno era ancora agli inizi, non certamente universale e riguardava solo alcuni strati sociali in poche nazioni.   GKC svela con la necessaria aura di mistero del “giallo”, l’artificiosità e la falsità di personaggi sulla cresta dell’onda, la cui fama è costruita attraverso una “recita”, un copione prestabilito che prevede l’impiego di professionisti preparati allo scopo e che esercitano così un mestiere “altro”, degno di entrare a pieno titolo nel Club dei Mestieri Stravaganti.   Nella nostra società globale, tutta una “recita”, per salvarsi dall’inganno, bisogna possedere ancora di più un marcato spirito critico che deriva solo da saldi principi e valori, oltre che da una buona cultura.   Merce rara.

 

3) Il terribile motivo della visita del Vicario

E’ forse il “giallo” più giallo e meno giallo.   Non è un gioco di parole: il racconto parte scherzoso (magnifico l’accenno al bottone del colletto della camicia da sera), si sviluppa come un poliziesco gotico e intrigante (ma si intuisce la sua artificiosità), e alla fine si svela come un semplice, quasi banale sotterfugio.   Ma anche qui servono “mestieranti” professionali, degni del Club, e non solo  validi attori disposti a recitare una parte.   GKC si diverte anche a prendere in giro la figura stereotipata del Vicario anglicano di campagna, personaggio che doveva conoscere benissimo e che forse ha in qualche modo favorito il suo cammino verso il cattolicesimo.   Che differenza rispetto alla figura originalissima di Padre Brown!

 

4) La singolare speculazione del mediatore

Certamente è il più originale dei racconti.   Il mistero è poco, forse è più corretto definirlo un semplice interrogativo, ma la soluzione svelata è senza dubbio un “unicum”.   Basil Grant fa giustizia dei dubbi del fratello Rupert sul tenente Keith fin dall’inizio, e il lettore, ormai ammaestrato, è pronto a dargli ragione.   Tuttavia l’idea di una casa aerea, sospesa agli olmi, quale dimostrazione della logicità della follia, esalta la creatività dell’autore.   Anche la figura del mediatore di case, Montmorency, è particolare e disegnata con cura, senza le approssimazioni che GKC riserva in genere ai personaggi di contorno.   Un vero esemplare di membro del Club, forse il più “stravagante”.   Il racconto è godibilissimo, intriso di humor e fine ironia, e non può non risultare molto divertente.   E spinge il lettore a pensare che forse una casa sugli alberi, ovviamente dipinta di verde, sarebbe la soluzione ideale per ogni evasione di corpo e di spirito, permettendo al contempo di evitare di pagare qualsiasi tipo di IMU.

 

5) La strana condotta del professor Chadd

R 5 – Colpito e affondato.   R 5 è il racconto N° 5 che di poliziesco non ha proprio nulla.   Ma “colpisce” per la sua feroce ironia e “affonda” le regole della buona società e del ben pensare.   La satira sulla scienza e sugli scienziati, in particolare di targa darwiniana, è centrata sulla figura del professor Chadd, vera caricatura del ricercatore puro, totalmente assente verso il mondo che lo circonda, sia esso comune e quotidiano che scientifico.   Chadd studia in dettaglio aspetti particolari dell’antropologia, ma non capisce nulla né dell’uomo, né della società, come Basil Grant gli rimprovera nella loro conversazione sugli Zulu.   Il riferimento a un certo mondo astratto e teorico della ricerca fine a se stessa, alla torre d’avorio in cui si rinchiude presuntuosamente l’Accademia, è del tutto palese ed è oggetto di derisione quasi affettuosa da parte di GKC.   Ancora più pungente e mordace tuttavia è la presentazione dell’Autorità istituzionale della scienza: il signor Bingham, del Museo Britannico.   Qui Chesterton è veramente superbo e vale la pena di riportare integralmente le poche righe relative: “Bingham era un signore magro, ben vestito, con un pizzo grigio leggermente effeminato, con dei guanti impeccabili e dei modi formali ma gradevoli.  Egli era il tipo del supercivilizzato, come il professor Chadd era il tipo del pedante rozzo.  La sua precisione e le sue belle maniere gli avevano dato, a tempo debito, qualche vantaggio.  Aveva una larga esperienza di libri e una larghissima conoscenza dei salotti più alla moda”.   Un ritratto perfetto di tanti Rettori universitari, di Presidenti/Amministratori di CNR, di Accademie, Musei (la Melandri!?!), Centri culturali (vogliamo ricordare lo scandalo del premio Grinzane – Cavour ?), nonché di pomposi Sovrintendenti archeologici e non.   Un quadro graffiante, con quattro pennellate di oltre cento anni fa, della nostra attuale italica realtà scientifico-culturale.   La trama del racconto non conta, il pensiero dell’autore, di contro, Sì, Sì, Sì.

 

6) L’eccentrica reclusione della vecchia signora

A mio giudizio, il racconto meno riuscito.   L’enfasi dello scritto è ancora più marcata, le incongruenze più numerose, il mistero “giallo” assai labile.   In particolare, le pagine dedicate alla lotta domestica fra i protagonisti (i nostri – buoni e i cattivi) sono sovrabbondanti e sembrano una magra sceneggiatura per le scazzottate  dei film di Bud Spencer e Terence Hill, sempre gradevoli sullo schermo, ancorché ripetitive, soprattutto per la simpatia dei protagonisti.   Diverse sono invece le poche pagine dell’epilogo che, come il prologo, non presentano soluzione di continuità col racconto.   Qui Chesterton ci riserva la “vera” sorpresa finale del libro, con Basil Grant “necessariamente” Presidente del Club dei Mestieri Stravaganti e regista di questa società alternativa.   La scena mi è molto familiare: il banchetto finale ricorda pienamente le gaudenti cene goliardiche (pantagrueliche) dei miei anni universitari (Mario Monti non veniva mai, Fabrizio Saccomanni sì!), mentre le formali relazioni dei membri del Club con brindisi e battimani, richiamano le più noiose conviviali del Rotary.   Le spiegazioni conclusive di Basil Grant (giudizio morale e tribunale penale volontario) sembrano, a questo punto, quasi superflue.

 

 

D) Valutazioni conclusive

 

Un’epopea dei protagonisti o un vero ciclo, come dice Chesterton nelle righe finali del libro.   Questo l’insieme dei racconti.

Un ciclo relativo e una epopea per modo di dire.   Ciclo lo diventano davvero i vari gruppi di racconti di Padre Brown, espressione matura di un nuovo modo di fare “poliziesco”.  

Epopea, mah ?!   Più esplorazione e sperimentazione di un genere letterario che si dovrà affermare, sempre che non si voglia leggere l’affermazione come autoironica.

Il libro, nel suo insieme, è piacevole, fresco e giovanile.   Pur essendo, come già detto, molto innovativo, non ha certo la struttura e determinazione del “Napoleone di Notting Hill” (dell’anno precedente – 1904) che vuole dimostrare la tesi del valore delle “piccole patrie” e affermare un modo alternativo di vedere e fare politica che, forse, avrebbe permesso di evitare la catastrofe della Prima Guerra Mondiale, scontro finale fra imperialismi maturi già a cavallo fra ottocento e novecento, ben previsto da Chesterton.

In definitiva, il “Club” è proprio un vero “divertissement” giovanile, ma che, in quanto tale e in presenza di qualità, è preludio di future opere mature di alto livello.

In questa logica, due piccole, marginali, osservazioni formali.   Nell’edizione Guerrino Leardini (2013), gli errori di stampa sono numerosi, qualche disattenzione poteva essere facilmente evitata (vedi, a puro titolo di esempio, un Basil in luogo di un Rupert a pag. 144, ultima riga), la traduzione è spesso un po’ sopra le righe ed enfatica nella scelta di molti aggettivi ed avverbi, con l’uso sovrabbondante di accrescitivi e di verbi esasperanti (non ho sottomano la versione originale inglese, ma, si sa, “traduttore – traditore”!), nella bibliografia si nota infine la mancanza della traduzione italiana dei titoli delle opere….tradotte.

Seconda osservazione: perché, nel titolo, Mestieri “stravaganti”? (in inglese Queer Trades).    Emilio Cecchi aveva proposto il più lineare “strani”, ma anche strambi, eccentrici, originali, estrosi, potrebbero andare benissimo.   Personalmente, preferirei “bizzarri” (ispanismo?, francesismo?), che mi sembra rendere in modo colorito ed efficace lo stile scritturale e lo spirito di Chesterton.   Le “bizze” in senso bonario ed ironico erano (sono) nel suo carattere e forse, chissà, la parola “bizzarri” gli sarebbe piaciuta.

Concludendo, e bando alle minuzie formali, il “Club” è un bel libro da leggere per sorridere dentro e fuori e per risollevare lo spirito.   Anche a 109 anni di distanza.   E, per totale spirito di contraddizione e in “paradossale” disaccordo con Chesterton, “quando NON vale la pena di fare una cosa, vale la pena di farla BENE”.

  

Settembre, 2014                                                                     

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 G.K. Chesterton  “Il Club dei Mestieri Stravaganti”

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